Memoria CPRCA

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C P R C A

< UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE - CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO - Giornata dedicata ad Oscar Marchisio
(entro 31 Ottobre 2011) iniziativa di “respiro” nazionale

Titolo provvisorio: < UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >
. . . . . Ottobre 2011, Ore . . . . .
[Luogo . . . . . ] Bologna …..
http://www.bolognacittalibera.org/events/quiete-e-poi-tempesta-sotto-i


DOCUMENTO / PROPOSTA
Piattaforma per la costruzione dei CPRCA
1. Se le responsabilità del massacro sociale, causato dall'irreversibile crisi economico-finanziaria del modo di produzione capitalista, sono chiare, altrettanto evidenti sono le colpevoli responsabilità del quadro politico dirigente delle istituzioni rappresentative del movimento operaio (partiti delle “sinistre” e sindacato) circa la difesa dell'autonomia politico-organizzativa dell'antagonismo sociale .
In Italia, il “collaborazionismo” dei dirigenti delle “sinistre” politiche e sindacali (a diversi livelli di incarichi, locali e/o nazionali, svolti) con le strategie ristrutturative del “comando” capitalista – dalla disdetta della “scala mobile” alla Legge delega di revisione della Legge 146/'90 che introduce nuovi limiti al diritto di sciopero (diritto consacrato nell'art. 40 della Costituzione) e di libertà sindacali – è dimostrato dalla voluta liquidazione di ogni rappresentanza della conflittualità, ormai inesistente in Parlamento, per meglio imporre relazioni sociali e politiche consolidando il reciproco riconoscimento negoziale tra frazioni borghesi in lotta (autoritarismo affaristico-telecratico tout court o regime pseudo liberale-liberistico, queste le opzioni in campo) per il predominio statuale e l'oscuramento delle istanze collettive di difesa democratica nella ridistribuzione egualitaria del reddito . . . . .
2. Tutte le ipotesi e le pratiche politico-organizzative messe in cantiere (volendo limitarsi a considerare solo il periodo dalll'89 ad oggi), sono state fallimentari per gli interessi delle classi subalterne. Gli stessi sciagurati protagonisti ed interpreti degli ultimi decenni della devastazione progettuale e della stessa mobilitazione delle coscienze, si ripropongono ora come “salvatori” avanzando ricette avvelenate (tutti uniti nel PD) ed inventandosi conduttori di reality politici sulla pelle delle masse lavoratrici, dei disoccupati, degli sfruttati.
Nessuno di costoro può più permettersi – senza pagare dazio – di anteporre proprie concezioni teorico-politiche al reale movimento sociale di resistenza all'incedere della crisi, nessuno è più legittimato a rappresentare moltitudini non disposte a delegare ulteriormente. Pertanto, qualsiasi ripresa della lotta e della partecipazione politica deve individuare il massimo di contraddizione nell'assetto della “rappresentanza” e della “rappresentatività” operando una rottura teorico-politica e di prassi, liberando una soggettività politica da ogni “appartenenza” - anche se residuale - nel “noi sociale” in grado di comunicare nuove forme istituzionali della “domanda popolare” e contenuti propri, oggetti specifici delle “politiche sociali” che si vogliono perseguire.
Il punto più alto delle contraddizioni economico-sociali del capitale è l'annientamento delle “socialità altre”, non “collaborazioniste”.
Il punto più alto di risposta allo stato presente di cose è “fare comunità” - costruire il “noi sociale” - tramite capacità di autovalorizzazione (conoscenze, professionalità, autoimprenditorialità, sostenibilità, potere) di progetto e di comunicazione sociale . . . . .
3. La realtà non deve diventare la sua rappresentazione mediale, come anche significative esperienze recenti (neocivismo) hanno fatto. L'irruzione della realtà nella lotta politica dipende dalla volontà del “noi sociale” di distruggere il paradigma della rappresentazione partitico-mediale delle contraddizioni sociali.
“Noi” dobbiamo rappresentare personalmente noi stessi, non un brand, un veicolo di comunicazione nel mercato della politica. Rompere questo dispositivo di potere (“delega” e “rappresentanza”) evitando di essere ancora sudditi, vuol dire farsi carico in prima persona dell'agire politico e sviluppare non solo pensiero, ma anche pratiche di liberazione.
La precondizione è costituire un “luogo politico” - Comitato popolare di resistenza per la cittadinanza attiva (CPRCA) – che nel territorio accolga, spogliati di ogni appartenenza partitica, sindacale, associativa, ogni individuo, ogni sincera compagna, ogni onesto compagno, disponibili tutte e tutti a proporre, organizzare e lavorare per un sistema istituzionale che dal basso possa affrontare e risolvere i problemi della cittadinanza conferendo autonomia e responsabilità amministrativa nuove al Comune “partecipato”, alla Provincia, alla Regione, imponendo socialmente l'agenda politica.
I territori regionali, da provincia a provincia, sono lo scenario entro il quale muoverci a fronte d'una socialità atonomisticamente frammentata e zone specializzate per funzioni. Costruire i CPRCA per ogni provincia può significare costruire un proprio “frame” capace di ricomporre politicamente il territorio regionale aggredendone i santuari del potere che da questa parcellizzazione egolatrica ne trae beneficio al fine di rideterminare forme di dominio.
Sottrarsi ad ogni gioco politico eterodiretto dai “soliti noti” (partiti e personale politico ben retribuito) e vivere politicamente ed esclusivamente nello spazio/tempo della comunità in cui si riesce a giocare la propria “sottrazione” ed estraneità. Costruire nuove istituzionalità che si sviluppino nel tempo divenendo egemoni nella dimensione popolare delle forme di vita, esigendo “beni comuni” in ogni città del territorio regionale . . . . .
SIETE TUTTI INVITATI AD AVVIARE UN DISCORSO PUBBLICO SU QUESTI TEMI
“... Felicità non è correre e poi fermarsi di botto. Ma star fermi, progredire, lentamente, consapevolmente ...” - Tratto da “Ho fatto un sogno: Vivere il socialismo dell'armonia” di Zygmunt Bauman


NB: Il testo può essere arricchito, emendato, integrato, sviluppato ...
Primi firmatari:
Giovanni Dursi, Oscar Marchisio, Marco Barone, Matteo Mazzetti, ..... acquisire quante più possibili adesioni
ASSEMBLEA PUBBLICA / SEMINARIO
(entro 28 Ottobre 2011) iniziativa di “respiro” nazionale dedicata ad Oscar Marchisio
Titolo provvisorio:
< UN'ALTRA OPPOSIZIONE È POSSIBILE. CRISI, DIRITTI DI CITTADINANZA, LIBERTÀ NELLE METROPOLI DEL CAPITALE >


Appendice – 1 – (Fonte: http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi)


C'è chi continua a “dialogare” con il P. D. attardandosi in diatribe e polemiche perfino personali, quindi fuorvianti; c'è chi, apprendista stregone che si esercita con il pallottoliere, verifica ipotesi alchemiche mescolando risicate percentuali elettorali e residuali spezzoni di partito, peraltro appesantiti da sindrome del leader. Incapaci di percepire “altro”, procedono immemori di quanto già “No logo” di Naomi Klein ci ha fatto meglio comprendere … Da Seattle all'esperienza di Bologna Città Libera e del neocivismo, dall'egemonica estensione planetaria del liberismo selvaggio negli anni '80 alla “marea nera” obamiana, la “politica” espressa dal sistema dei partiti nelle sue forme novecentesche endogene alle compatibilità capitalistiche, ha fallito nei tentativi d'emancipazione e rivendicazione economico-normativa (“sinistra”) ed ha aggiornato la ferocia del dominio (“destra”) nel perseguire quote di profitto ad ogni costo (umano, ambientale, culturale). Mentre il ceto politico dirigente nazionale P. D. ed i suoi cloni locali trattano, dopo tanta umiliante anticamera, con le forze governative (da ultimo, D'Alema che “chiede” a Letta) e pensano di affidarsi al turpiloquio televisivo per “riconquistare” attenzione popolare, si assiste alla deroga – nel permanente stato di incorenza, l'effettivo “brand democratico”, nel quale si dibattono il P. D. e gli “estimatori” esterni al partito - da ogni elementare prassi d'opposizione parlamentare, continuando a frenare, boicottare, imbrigliare le lotte sociali per il salario, occupazione e diritti. C'è chi pensa, dentro e fuori l'area “democratica” ormai parte integrante della “Gomorra istituzionale”, che è sufficiente “farsi vedere” o dichiarare “solidarietà” con i soggetti che si oppongono all'incedere della crisi per “aver cambiato pelle”. Insomma, l'indole moderata d'ogni prassi partitica funziona solo dove le sirene d'Ulisse hanno la meglio sugli sprovveduti di turno che, semplicemente, danno credito agli “infiltrati” P. D. nei movimenti. Sono maturi i tempi – per gli intellettualmente onesti – dell'abbandono al suo destino della “politica” per intraprendere/riprendere il percorso della trasformazione sociale, assumendone le responsabilità che derivano dalla conoscenza della contraddittoria realtà sociale e che hanno come meta una processualità antisistema. Tali responsabilità impegnano tutte e tutti nello strutturare l'antagonismo – in tutte le sue manifestazioni – permettendo all'individuo ed alle comunità territorialmente dislocate d'accumulare conoscenze sulla loro realtà per trasformarla in funzione dei propri bisogni. Interpretare correttamente il proprio mondo sociale – liberandosi d'ogni appartenenza politica e/o sindacale -, immagazzinare informazioni condividendole e tradurle in azioni di resistenza ed assalto: questo lo scenario dell'autorganizzazione dei propri comportamenti ed il possibile adattamento al nuovo vissuto autodeterminato dei propri schemi mentali. L'assunto ad impossibilia nemo tenetur (“alle cose impossibili, nessuno è tenuto”), va ribaltato semanticamente: alle cose possibili, siamo tutti chiamati.


Appendice – 2 – (Fonte: http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi)


5133, gli operai ed impiegati dello stabilimento “”G. B. Vico” FIAT di Pomigliano d'Arco costretti a decidere tra l'autonomia di classe ed un salario di sopravvivenza percepito “aderendo” ad una contrattazione top-down che incrementa lo sfruttamento intensivo del lavoro. Un italiano, Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, vuole espatriare, disimpegnandosi dalle responsabilità del Governo e godersi i soldi di cui dispone, non prima di mettere, con la “manovra finanziaria” di 25 mld di €, le mani in tasca ai cittadini, lavoratori dipendenti. Questi i saldi di fine stagione politica che, dall'antica inaugurazione della “democrazia progressiva” di Togliatti e Di Vittorio, conduce all'odierna “qualità totale” (talmente “totale” che lo stesso referendum SI / NO all'accordo separato tra FIAT e sindacati metalmeccanici CISL, UIL, UGL e FISMIC è eterodiretto da ConfIdustria) applicata da Marchionne, testa d'ariete di un aziendalismo libero dagli “impacci” rappresentati dalla Costituzione, dalla legge ordinaria e dai diritti esercitati. Il conflitto vincente dei lavoratori dell'INNSE ha recentemente fornito ulteriore dimostrazione di come la lotta può “pagare” e come la “cosa giusta” va fatta, anche quando non si ha certezza dei risultati. Nel caso del referendum sull'accordo aziendale, si rende d'ora in ora evidente la sua utilità nell'indurre i lavoratori della FIAT di Pomigliano, ob torto collo, ad approvare ciò che non merita di essere approvato, si rende d'ora in ora evidente la deresponsabilizzazione dei sindacati firmatari e la loro banalizzazione della situazione. Non è solo un problema etico, di dignità, di principi; è questione di natura “materiale”: il sindacato deve negoziare migliori salari, condizioni di lavoro praticabili per evitare e contrastare ogni sfruttamento e trattamenti economici iniqui, oltreché rivendicare norme di sicurezza sul posto di lavoro e formazione continua. Ebbene, quanto sta accadendo alla FIAT di Pomigliano ha attinenza con introiettate – da parte dei sindacati firmatari - logiche neotayloristiche della “sopravvivenza” che producono una svendita della manodopera al “massimo ribasso” negando la funzione di base stessa del sindacato. I sindacati firmatari dell'accordo separato, pertanto, si dispongono, così facendo, al nefasto collaborazionismo economico-politico (ricordiamo l'antecedente della “disdetta della scala mobile”) che annienta la visione emancipatoria poiché oggettivamente contraddittoria con il “profitto”, con l'organizzazione della produzione e con le correlate forme di vita sociale, agendo peraltro in sintonia con lo “Stato di polizia” che il Governo sta costruendo. In queste ore cruciali, torna in auge nella cronaca e nell'immaginario di massa quella nozione di salario che compare dapprima nei “Manoscritti del '44” nell'accezione di «prezzo del lavoro» (Manoscritti economico-filosofici del 1844, K. Marx, F. Engels, Opere, III, edizione italiana degli Editori Riuniti, 260). È un prestito dichiarato dell'economia politica: «Il consueto salario è, secondo Smith, quell'infimo che è compatibile con la “simple humanité”, cioè con un'esistenza animalesca» (ivi, 255). Il salario, come gli altri «fatti economici» analizzati nei Manoscritti , è il luogo in cui si manifesta una contraddizione, quella tra la valorizzazione del mondo delle cose e crescita della ricchezza sociale da una parte, e impoverimento del mondo degli uomini dall'altra. Queste le ragioni dell'opposizione all'accordo aziendale, queste le serie motivazioni, non le uniche, della “convergenza” sulle posizioni della FIOM e del sostegno, della partecipazione alla resistenza dei lavoratori di Pomigliano. Queste le condizioni reali favorevoli per una nuova stagione politica avviata con coscienza.


Appendice – 3 – (Fonte: http://www.bolognacittalibera.org/profile/GiovanniDursi)


Tremonti prende nota, apprezzandola, della strategia padronale che ha in Marchionne la testa d'ariete. A Pomigliano, in queste ore, si decide d'una fabbrica d'auto verificando – questa è la sfida lanciata dall'A. D. della FIAT – la forza della classe operaia, in grado o meno di resistere, opporsi al perseguito annientamento delle capacità rivendicative sul piano economico-normativo (solo la FIOM non si è calata le braghe) e al tentativo di militarizzare il rapporto di lavoro in fabbrica inducendo i lavoratori ad una deportazione verso il deserto del non reddito e del correlato annullamento d'ogni dignità personale e collettiva. Il “culto del mosaico” di massonica ispirazione, permette al sodalizio Governo pduista / capitale industriale e finanziario di comporre la “questione sociale” in termini neomedievali semplici: c'è chi decide e c'è chi subisce. La massa critica d'una opposizione sociale, politica e sindacale non è più capace di contrastare, nelle forme “democraticiste” date, la messa in mora dei più elementari principi d'una civiltà giuridica che nello “Statuto del lavoratori” ha trovato un saldo argine ai ricorrenti, feroci assalti a diritti costituzionalmente garantiti. Le posizioni borderline di chi auspica vertenzialità sociali per affrontare e risolvere i problemi dell'occupazione, del salario e dei diritti di milioni di cittadini, non sono adeguate alla fase. I “pompieri” non si rendono conto che l'ordine sociale predisposto dalle forze politiche al potere - “levigando la pietra” - non prevede negoziazioni e/o concessioni, bensì massacranti imposizioni nella condizione materiale di vita e nello stesso immaginario di massa, finita la fase di contenimento sostenuta dalle menzogne governative sulla “crisi”. L'autoritarismo del ventunesimo secolo non necessita di una marcia su Roma, procede allo smantellamento dei sistemi di protezione sociale, alla repressione ed impedimento della libera manifestazione del pensiero (“con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”) e del pubblico associazionismo. Il violento pragmatismo di Marchionne è la pietra tombale per le libertà operaie e sindacali, deposta su una fossa scavata dalla mano destra e da quella sinistra, rappresentativa d'una rottura epocale che induce i lavoratori a cambiare non solo le “cose da vedere”, ma anche “le categorie da adoperare per vederle”. Se è pur vero che i centri e le funzioni di potere si redistribuiscono su una scala che supera la Stato nazionale, non si può evitare il fatto che la “globalizzazione” del mercato ripropone immutata l'organizzazione dell'impresa tayloristica; tale organizzazione – secondo i “dieci punti” di Fayol, teorico del fordismo – continua ad essere imperniata su disciplina, gerarchia, autorità. Il capitale ha una struttura basica che si estrinseca nel “comando”; la resistenza operaia e sociale al “comando” ha prodotto la “legislazione sociale” a tutela; il ventesimo è stato il secolo di resistenza al “comando” esercitato nelle più tragiche e distruttive forme d'organizzazione del lavoro e delle forme di vita. Ora, il “comando” capitalista necessita di operare senza ostacoli (la stessa “legalità” è un ostacolo) recidendo ogni connessione con la tradizione otto-novecentesca di resistenza proletaria ed innovando procedure impositive che sulle disuguaglianze e sulle esclusioni consente di rifondare il processo mercantile di “valorizzazione”. Il sistema fordista – con riferimento alle lotte per i salari e gli orari ed agli ammortizzatori sistemici del Welfare – e la stessa accelerazione tecnologica, nata anch'essa su di un terreno redistributivo, non sono più compatibili con la “libera mano” imprenditoriale, indifferente ormai alle suggestioni della “pace sociale” avendo organicamente dalla propria parte il “monopolio della forza” e l'ottenuto riorientamento governativo della spesa pubblica. Al posto della “mano invisibile” e del “potere inintenzionale”, oggi resta sul terreno del conflitto il rapporto di sfruttamento del lavoro dal quale si può cogliere la dinamica storica mondiale. Ipotizzare di fuoriuscire da diffuse instabilità sociali appellandosi alla capacità di costruire nuove regole globali e nuovi strumenti di potere in contesa “politica” con l'egemonia planetaria dell'impresa globale, senza passare da nuove guerre e nuove catastrofi, è quantomeno fuorviante se non manipolatorio. Il “comando” capitalista certo può essere molto concentrato, senza essere centralizzato, ma la contraddizione aperta non è più sanabile con vari modelli di “concertazione”. Il lungo stravolgente cammino, nella metropoli italiana, della “democrazia progressiva” puramente gestionale di Togliatti e Di Vittorio ha inevitabilmente portato alla “mano libera” e sporca di Marchionne ed alla irreversibile perdita, da parte delle tradizionali organizzazioni del movimento operaio, del carattere sociale della rappresentanza dell'autentico antagonismo, efficacemente antisistema. Con l'onestà intellettuale propria, Vittorio Foa, parlando con Andrea Ranieri della fondazione della CGIL in “Il tempo del sapere – Domande e risposte sul lavoro che cambia” (A cura di Severino Cesari, Einaudi, 2000, pag. 94), ha affermato che l'organizzazione sindacale “si presentava come un'organizzazione di sinistra, ma in realtà era lo strumento di una politica centrista”. Più avanti, Ranieri, a proposito della “valutazione” del lavoro, sostiene che, dopo il 1993 della disdetta della scala mobile, “la sinistra non ha mai messo in discussione, al di là di qualche affermazione verbale, che gli imprenditori potessero giudicare le prestazioni di chi lavora. Si riconosceva in un certo senso all'esigenza di fare profitti una qualche oggettività ...” (op. cit., pag. 109).

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